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"𝐏𝐎𝐕𝐄𝐑𝐀 𝐈𝐓𝐀𝐋𝐈𝐀": 𝐋'𝐈𝐍𝐓𝐄𝐍𝐒𝐈𝐓𝐀' 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐏𝐎𝐕𝐄𝐑𝐓𝐀'
𝐀𝐒𝐒𝐎𝐋𝐔𝐓𝐀 𝐄' 𝐀𝐋 𝟐𝟎%, 𝐄 𝐋𝐄 𝐅𝐀𝐌𝐈𝐆𝐋𝐈𝐄 𝐈𝐍𝐃𝐈𝐆𝐄𝐍𝐓𝐈
𝐒𝐎𝐍𝐎 𝟔 𝐌𝐈𝐋𝐈𝐎𝐍𝐈, 𝐈𝐋 𝟏𝟎% 𝐃𝐄𝐋 𝐏𝐎𝐏𝐎𝐋𝐎 𝐈𝐓𝐀𝐋𝐈𝐀𝐍𝐎.
𝐈𝐋 𝐓𝐎𝐓𝐀𝐋𝐄 𝐅𝐀𝐋𝐋𝐈𝐌𝐄𝐍𝐓𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐏𝐎𝐋𝐈𝐓𝐈𝐂𝐀 𝐒𝐎𝐂𝐈𝐀𝐋𝐄
𝐃𝐄𝐋 𝐆𝐎𝐕𝐄𝐑𝐍𝐎 𝐌𝐄𝐋𝐎𝐍𝐈: 𝐔𝐍 𝐃𝐈𝐒𝐀𝐒𝐓𝐑𝐎 𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐀𝐏𝐏𝐄𝐋𝐋𝐎.
𝐑𝐄𝐏𝐎𝐑𝐓 𝐈𝐒𝐓𝐀𝐓: 𝐒𝐂𝐄𝐍𝐀𝐑𝐈𝐎 𝐀𝐋𝐋𝐀𝐑𝐌𝐀𝐍𝐓𝐄 𝐄 𝐃𝐄𝐒𝐎𝐋𝐀𝐍𝐓𝐄.
Le stime dell'Istat per l'anno 2023 pubblicate oggi gettano una luce spettrale sulla situazione socio-economica
delle famiglie italiane, contrassegnata dall'ascesa della povertà
assoluta, in particolare nel contesto del Nord Italia, con un aumento
del 20%.
Nel Mezzogiorno il tasso è al 17,9%, e la miseria si propaga come un cancro in tutto il Paese, senza distinzioni né pietà.
Il governo Meloni, che ha inaugurato la sua "politica sociale" con l'abrogazione del Reddito di Cittadinanza, ha fallito.
Il RDC non andava abrogato ma semplicemente migliorato, a partire dalle verifiche perchè senza controlli severi
e reali qualsiasi malintenzionato ha avuto vita facile nel truffare lo Stato. Abrogarlo è stato un colpo basso proprio
per le famiglie oneste e vulnerabili, un colpo di grazia per chi già
faticava a sbarcare il lunario. Ma addirittura il Governo Meloni
ha promesso miglioramenti, un futuro roseo, ma cosa abbiamo ottenuto? Nulla.
Anzi, peggio: la povertà è cresciuta, come un'ombra oscura che avvolge le vite del 20% degli italiani.
Ma la notizia ancora peggiore, se quanto sopra non bastasse ancora per
rabbrividire, è quella che a farne le spese più di tutti sono proprio
i nostri figli, i giovani italiani non ancora maggiorenni: ben il 14% di loro versa in una condizione di povertà assoluta.
E dove sono finiti quei milioni di euro "risparmiati" dall'eliminazione del Reddito di Cittadinanza? In armi?
In operazioni militari all'estero? Mentre gli italiani soffrono, mentre gli italiani muoiono di fame, il governo sembra
più interessato a fare bella figura sul palcoscenico internazionale piuttosto che garantire il benessere delle proprie comunità.
Ma non è tutto: dal report Istat emerge che la spesa media mensile di tutte le famiglie residenti in Italia
è cresciuta del 3,9% nel 2023, un aumento che rispecchia l'aumento
esponenziale dei prezzi, in salita del 5,9% in tutto il Paese.
Una morsa che stringe sempre più forte le famiglie già in difficoltà,
una spirale che trascina verso il basso chiunque si trovi sulla sua
traiettoria.
E mentre il governo si pavoneggia con i suoi proclami di grandezza, le cifre non mentono: l'8,5% delle famiglie italiane
si trova in povertà assoluta, circa 5,7 milioni di individui, quasi il
10% della popolazione, e "l'intensità" della povertà assoluta è del
20%!
Persone che lottano ogni giorno per mettere un pasto sulla tavola, per garantire un tetto sopra la testa dei propri figli,
mentre i politici si crogiolano nel lusso dei loro uffici, lontani dalle realtà che essi stessi hanno contribuito a creare.
Il governo Meloni ha fallito, e lo ha fatto clamorosamente. Ha tradito
le tante promesse fatte al popolo italiano, ha abbandonato
coloro che più avevano bisogno del suo sostegno. E mentre le statistiche dipingono un quadro desolante, non possiamo
voltare lo sguardo altrove, non possiamo ignorare il dolore e la
sofferenza che questa amministrazione fallimentare ha inflitto al
nostro Paese.
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𝐌𝐈𝐋𝐀𝐍𝐎: 𝐋𝐀 𝐓𝐄𝐑𝐙𝐀 𝐂𝐈𝐓𝐓𝐀' 𝐀𝐋 𝐌𝐎𝐍𝐃𝐎 𝐏𝐈𝐔' 𝐈𝐍𝐐𝐔𝐈𝐍𝐀𝐓𝐀.
𝐃𝐀 𝐃𝐎𝐌𝐀𝐍𝐈 𝐈 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐈 𝐃𝐈𝐕𝐈𝐄𝐓𝐈 𝐏𝐄𝐑 𝐋𝐀 𝐂𝐈𝐑𝐂𝐎𝐋𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐀𝐔𝐓𝐎.
𝐋'𝐈𝐍𝐄𝐓𝐓𝐈𝐓𝐔𝐃𝐈𝐍𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐋𝐀 𝐌𝐄𝐓𝐓𝐄 𝐀 𝐑𝐈𝐒𝐂𝐇𝐈𝐎 𝐋𝐀 𝐂𝐈𝐓𝐓𝐀'.
Il sindaco di Milano, Sala, si dimostra ancora una volta
inadeguato di fronte alla grave minaccia dello smog che avvolge la
città.
Mentre il livello di inquinamento raggiunge ormai livelli allarmanti, si evidenzia ulteriormente che le sue azioni per
cercare di prevenire il problema sono state insufficienti, dimostrando un atteggiamento intollerabile di non comprensione
del pericolo imminente e per non avere attuato, preventivamente, una politica antinquinamento in grado di prevenire
il fenomeno acuto di questi giorni dove l'unico risultato è
correre a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati,
mettendo in atto blocchi inutili e controproducenti e del tutto iniqui.
Le misure restrittive che entreranno in vigore da domani, 20 febbraio,
in Milano e altre 8 province lombarde, sono il risultato di una
situazione critica che richiede interventi preventivi, tempestivi e
decisi. Il Sindaco Sala sembra proprio non comprendere
l'urgenza di agire con determinazione. Le norme di primo livello, che
coinvolgono Milano, Monza, Como, Bergamo, Brescia, Mantova,
Cremona, Lodi e Pavia, impongono divieti di combustioni e di accensione
di fuochi all'aperto in tutti i comuni interessati. Inoltre,
limitazioni alla circolazione dei veicoli più inquinanti saranno in
vigore dalle 7.30 alle 19.30, coinvolgendo veicoli Euro 0 e 1 di
qualsiasi alimentazione
e quelli Euro 2, 3 e 4 a gasolio nei comuni con più di 30.000 abitanti.
Ma le carenze non finiscono qui. Le limitazioni temporanee includono anche i veicoli con il dispositivo Move-In,
senza che le telecamere di Area B siano in grado di distinguere le misure permanenti da quelle temporanee. Un errore che
rende inefficace l'applicazione delle regole e mette a repentaglio la salute pubblica.
E non è tutto. Le restrizioni coinvolgono anche il riscaldamento domestico, con il divieto di mantenere temperature superiori
a 19°C nelle abitazioni e nei negozi, e l'utilizzo di stufe a
legna per il riscaldamento, se non accompagnate da un impianto
alternativo.
Nel settore agricolo, viene vietata la diffusione di liquami di allevamento, salvo iniezione e interramento immediato.
È evidente che le azioni del sindaco Sala sono inutili, insufficienti e
dannose pe ri cittadini di fronte alla gravità della situazione.
La sua mancanza di comprensione e di azione preventiva mette a repentaglio la salute e il benessere dei cittadini milanesi.
È ora di assumere responsabilità e agire con decisione per contrastare questa emergenza ambientale nella metropoli milanese.
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𝟕𝟒.𝐚 𝐄𝐃𝐈𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐑𝐄𝐌𝐎 𝟐𝟎𝟐𝟒:
𝐕𝐈𝐍𝐂𝐄 𝐌𝐀𝐍𝐆𝐎, 𝐋𝐀 𝐑𝐎𝐍𝐃𝐈𝐍𝐄 𝐄' 𝐓𝐎𝐑𝐍𝐀𝐓𝐀 𝐀 𝐕𝐎𝐋𝐀𝐑𝐄.
di Mirco Maggi
La vittoria di Geolier alla 74.a edizione del Festival di Sanremo era ormai data per scontata, ma è successo qualcosa
che ha stravolto ogni previsione: ha vinto, meritatamente, Angelina Mango, ed è stata anche la vittoria della musica;
non la vittoria delle case editrici musicali, degli inciuci, degli intrallazzi.
La serata era iniziata con un'altra ondata di polemiche e di dissenso da parte del pubblico presente al Teatro Ariston
mentre il rapper partenopeo veniva proclamato vincitore delle quattro serate precedenti, e le vibrate proteste hanno
evidenziato un'atmosfera di tensione palpabile. La platea dell'Ariston,
delusa e indignata, ha manifestato netta contrarietà a quel verdetto,
sottolineando la mancanza di consenso per l'incomprensibile preferenza a Geolier rispetto ad altri artisti.
Ma la vincitrice in pectore era già, comunque per tutti, Angelina
Mango, che alla fine si è aggiudicata meritatamente il trofeo.
Nell'esecuzione del suo brano, emozionata, ha inciampato ed è caduta
sul palco, ma nonostante questo non solo ha vinto il Festival,
ma si è aggiudicata anche due premi importanti: il premio Lucio Dalla e il premio Bigazzi. Quindi ha vinto tre volte,
e non solo il titolo di Regina della manifestazione canora per eccellenza. Secondo posto per il rapper Geolier,
terzo posto per Annalisa, quarto posto per Ghali, e quinto posto per Irama.
Gli artisti sono stati sottoposti principalmente al giudizio del
pubblico a casa tramite il televoto. Ma in serata, l'afflusso abnorme
di sms,
ha creato problemi e difficoltà: da Napoli schiere agguerrite di
"fans", hanno inviato migliaia e migliaia di sms per il loro beniamino,
mandando in tilt i server del televoto, ma anche questo espediente non è bastato a far vincere Geolier.
Contrariamente a tante edizioni sanremesi l'esito di questa 74.a edizione ha visto tutti d'accordo, o quasi; perchè in fondo
la musica ha vinto. E lo ha fatto con giustezza. E da Sanremo, per quest'anno, è tutto: la Rondine è tornata a volare.
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CONDANNATO A 17 ANNI IL GIOIELLIERE RAPINATO.
SOLO IN ITALIA CHI SI DIFENDE E' UN CRIMINALE.
Mario Roggero,
gioielliere di 68 anni di Asti, è stato condannato a 17 anni di carcere
per aver ucciso due rapinatori e ferito un terzo.
E' una sentenza che dimostra che in Italia chi si difende è considerato un criminale.
Roggero è stato vittima di una rapina violenta. I rapinatori sono entrati nel suo negozio armati (che poi si trattasse
di un'arma vera o di un giocattolo non compete certo alla vittima in quel momento comprenderlo), lo hanno minacciato di morte.
Roggero ha reagito e ha sparato, uccidendo due dei tre rapinatori. La corte d'Assise di Asti ha dichiarato che Roggero
non ha agito per legittima difesa, ma per offendere. Questa sentenza ribalta il concetto morale della libertà e della dignità
dell'uomo perchè la legittima difesa è un diritto sacrosanto, che deve essere tutelato dalla legge, sempre, e soprattutto
in caso di minacce di morte e uso di armi. Chi si difende non deve andare in prigione, ma deve essere considerato un eroe.
La sentenza di Asti è un segnale di debolezza dello Stato, che non è in
grado di proteggere i propri cittadini. È un invito alla violenza,
perché incoraggia i criminali a commettere rapine, sapendo che difficilmente saranno puniti. L'Italia deve tornare
ad essere un paese sicuro, dove le persone possano sentirsi protette dalle aggressioni. È necessario cambiare
le leggi sulla legittima difesa, per garantire che chi si difende non sia punito.
Al termine della lettura della sentenza, Roggero ha commentato: "viva la delinquenza, viva la criminalità".
Questa dichiarazione è un'espressione di disperazione e di rabbia, ma è
anche una denuncia di una giustizia che non tutela le vittime.
Il vicepremier, Matteo Salvini, ha espresso solidarietà a Roggero, definendo la sentenza "un'ingiustizia".
Roggero ha difeso la propria vita e la propria proprietà. Non doveva essere punito per questo.
L'Italia deve cambiare le leggi sulla legittima difesa, per chiarire che chi si difende non è un criminale, perchè
lo è chi aggredisce, minaccia, rapina, usa violenza, e inq uel caso il torto deve sempre essere certo, e non arbitrario.
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𝐈𝐋 𝐆𝐄𝐍𝐄𝐑𝐀𝐋𝐄 𝐕𝐀𝐍𝐍𝐀𝐂𝐂𝐈: 𝐃𝐀𝐋𝐋𝐀 𝐏𝐎𝐋𝐄𝐌𝐈𝐂𝐀 𝐀𝐋 𝐕𝐄𝐑𝐓𝐈𝐂𝐄.
𝐈𝐋 𝐂𝐎𝐑𝐀𝐆𝐆𝐈𝐎 𝐃𝐈 𝐃𝐈𝐑𝐄 𝐒𝐄𝐌𝐏𝐑𝐄 𝐋𝐄 𝐂𝐎𝐒𝐄 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐍𝐍𝐎.
Il generale Roberto Vannacci, finito quest'estate alla ribalta
delle cronache per le sue dichiarazioni nel libro "Il mondo al
contrario",
è stato nominato capo di stato maggiore del Comando delle forze operative terrestri.
L'incarico, che Vannacci ha commentato con grande soddisfazione, è uno dei più prestigiosi dell'Esercito italiano.
Si occupa della preparazione e dell'addestramento delle unità che devono partire per le missioni all'estero.
La nomina di Vannacci è una vittoria per tutti coloro che credono nel
valore della libertà di pensiero e di espressione. Il generale
ha dimostrato di essere un uomo coraggioso, che non ha paura di
dire le cose come stanno, anche quando ciò può comportare delle
conseguenze negative.
Le polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione del suo libro non hanno scalfito la sua determinazione. Vannacci
ha sempre sostenuto di non aver violato alcuna norma né legale né
disciplinare, e ha continuato a lavorare con impegno e passione.
Il generale Vannacci è un uomo di grande esperienza e competenza. Ha una lunga carriera nell'Esercito italiano,
durante la quale ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità. È
stato comandante di unità speciali, di divisioni e di comandi di
vertice.
Il libro di Vannacci, "Il mondo al contrario", è un'analisi critica della società italiana. Il generale sostiene che il nostro
Paese è in una fase di declino, e che è necessario un cambiamento radicale per invertire la tendenza.
La nomina a capo di stato maggiore è la conferma che la sua professionalità e la sua visione sono, di fatto,
state apprezzate anche dall'Esercito. Vannacci può essere un esempio per tutti coloro che credono che, anche in
un mondo complesso e spesso ostile, è importante avere il coraggio di
dire la propria opinione anche se contraria a quella di molti.
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GLI SPECIALI DE L'AUDACE
𝐂𝐎𝐕𝐈𝐃: 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐈𝐍𝐔𝐀 𝐋'𝐀𝐔𝐌𝐄𝐍𝐓𝐎 𝐃𝐄𝐈 𝐍𝐔𝐎𝐕𝐈 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐀𝐆𝐈.
𝐌𝐀 𝐈𝐍 𝐂𝐎𝐍𝐅𝐑𝐎𝐍𝐓𝐎 𝐀𝐋𝐋'𝐀𝐍𝐍𝐎 𝐒𝐂𝐎𝐑𝐒𝐎, 𝐋𝐀 𝐒𝐈𝐓𝐔𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄
𝐄' 𝐌𝐈𝐆𝐋𝐈𝐎𝐑𝐀𝐓𝐀 𝐎 𝐒𝐈𝐀𝐌𝐎 𝐍𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐒𝐓𝐄𝐒𝐒𝐄 𝐂𝐎𝐍𝐃𝐈𝐙𝐈𝐎𝐍𝐈?
di Romilda Tancredi (*)
Il bollettino numero 57, relativo ai dati dei nuovi contagi da Covid per la Settimana dal 23 al 29 novembre 2023
pubblicato ieri, mostra un ulteriore aumento dei casi rispetto al bollettino precedente. Non si tratta di un aumento
eccessivamente allarmante ma siamo comunque di fronte ad una evidente e continua ascesa delle infezioni da Covid.
Mi è stato chiesto di fare un confronto con i dati dell'anno scorso in
relazione allo stesso perdiodo del bollettino 57,
ma sono dati difficili da comparare correttamente, perchè necessita la contestualizzazione,
assente allo stato attuale,
di alcuni dettagli dei dati di riferimento,
ed e quindi impossibile fare una analisi precisa e concreta.
E' evidente, ed innegabile che oggi siamo di fronte ad una risalita dei nuovi casi di
infezione da Covid, ma dobbiamo fare i conti con una realtà nuova,
composta da due fattori determinanti. Il primo è che le notizie fornite dal Ministero della Sanità quest'anno sono poche
e spesso contraddittorie, e quindi mancano elementi per completare il quadro
di nozioni oggettive per interpretare al meglio la risalita delle
infezioni.
Il secondo fattore è che la valutazione, relativamente allo stesso
periodo dello scorso anno, deve tenere conto di un concorso
determinante:
la differenza notevole del numero dei tamponi effettuati nel 2022 nei
confronti di quelli effettuati oggi. Nel periodo interessato del 2022
venivano eseguiti test molecolari 6/7 volte superiori a quelli che
vengono oggi certificati sul portale da Farmacie e dai Medici di
base.
E' quindi impreciso parametrare correttamente i dati di questa settimana con quella dell'anno scorso.
Il bollettino diramato ieri evidenzia, rispetto al 2022, un numero
inferiore di nuovi contagi, ma evidenzia anche il minor numero
di test diagnostici certificati, e questo non permette una analisi
corretta. L'unico dato certo è invece quello del calo dei decessi,
che l'anno scorso erano, rispetto ad oggi, più del doppio. Questo può voler dire molte cose, ma la prima evidenza è
quella relativa all'ipotesi di una minore aggressività delle varianti
attualmenti in circolazione rispetto a quelle dell'anno scorso.
Si potrebbe addirittura azzardare, ma solo in linea meramente teorica e senza alcun rilievo scientifico, una ipotesi:
i dati dei contagi del bollettino n. 57 di oggi , che evidenziano
277.000 tamponi, rapportati con i dati dell'anno scorso, analizzati
in
base a 1.300 mila tamponi effettuati, potrebbero, e sottolineo:
"potrebbero", essere più o meno identici e non, come appare, minori.
In pratica, sempre in linea teorica, ci troveremmo di fronte ad una situazione più o meno simile a quella del 2022
per numero di nuovi contagi reali, ma con meno rischi per chi contrae l'infezione grazie al dimezzamento dei decessi.
(*) dr. prof. Docente di immunologia DIMED
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𝐒𝐎𝐍𝐃𝐀𝐆𝐆𝐈𝐎 "𝐂𝐄𝐍𝐒𝐈𝐒 𝟐𝟎𝟐𝟑": 𝐆𝐋𝐈 𝐈𝐓𝐀𝐋𝐈𝐀𝐍𝐈 𝐒𝐎𝐍𝐎 𝐃𝐈𝐕𝐄𝐍𝐓𝐀𝐓𝐈
𝐔𝐍 𝐏𝐎𝐏𝐎𝐋𝐎 𝐃𝐈 "𝐒𝐎𝐍𝐍𝐀𝐌𝐁𝐔𝐋𝐈", 𝐂𝐎𝐍𝐅𝐔𝐒𝐈 𝐄 𝐀𝐍𝐄𝐒𝐓𝐄𝐓𝐈𝐙𝐙𝐀𝐓𝐈.
l'editoriale di Mirco Maggi
Sono ormai anni che L'Audace, con articoli, editoriali, speciali e approfondimenti, mostra le continue crepe
di un paese ormai marcio nella fondamenta, ma a nulla serve anticipare le cose, lanciare allarmi, cercare di far
risvegliare i sentimenti e le intelligenze di un popolo come il nostro,
che il mondo intero da millenni invidia e cerca di emulare.
Un paese dove quasi il 50% degli aventi diritto non va a votare: solo questo dovrebbe indignarci e farci capire ogni cosa,
perchè chi ci governa lo fa con il plauso di mezza Italia, non dell'intera Nazione. Un paese ormai feudo dei palazzinari
(abusivi e non) dove basta una pioggia più forte del solito a
distruggere interi paesi e a far morire centinaia e centinaia di
persone,
Un paese vergognoso dove i giovani, i nostri figli, non trovano lavoro dopo l'università, se non occupazioni con
contratti inesistenti e capestro, sottopagati e non idonei alla loro preparazione; giovani che sono costretti ad emigrare
per trovare uno straccio di speranza lontano da noi. Lo sapete che il numero dei nostri migranti è superiore a quello
dei migranti che ci raggiungono? Lo sapete che sono quasi 6 milioni gli italiani scappati dall'Italia? Siamo un paese
dove a 67 anni ancora non si va in pensione, perchè si deve riuscire a morire prima; dove almeno 20 milioni di italiani
rasentano la povertà e circa 12 milioni l'indigenza. Un paese di disoccupati cronici, di lavoro nero, di bambini
che non nascono più e di coppie che non possono sposarsi. Ma soprattutto un paese che permette, senza fare nulla
di concreto per evitarlo, se non parole e inutili manifestazioni, che in un anno vengano uccise centinaia di donne.
Ma dove siete finiti italiani? Se gli articoli de L'audace non sono abbastanza per voi, oggi ci ha pensato il Censis,
l'autorevole Centro Studi Investimenti Sociali, istituto di ricerca
socio-economica fondato nel 1964, a dirci come stanno veramente le cose.
Il report annuale del Censis presenta una fotografia disastrosa di quello che siamo diventati: una dettagliata evidenza
degli stati d'animo degli italiani e la situazione generale del nostro
popolo è più che deludente, perchè è una ctastrofe totale,
ed è definita come: "ipertrofia emotiva", cioè una sorta di sonnambulismo collettivo, dove si evidenzia un'imperturbabilità
di fronte alle molteplici preoccupazioni emerse. Ma non solo: questi dati stabiliscono, concretamente, la fine di una
generazione storica e mostrano la netta diversità dagli italiani del
passato che hanno invece scritto la storia del mondo, dell'arte e della
scienza.
Oggi non siamo più niente di ciò che eravamo; siamo diventati un branco
di incerti, confusi, insicuri, spaventati, rammolliti, zombi che tirano
a campare.
Questi i dati del rapporto Censis 2023:
- l'84% degli italiani vive con paura a causa dei cambiamenti climatici.
- il 73,4% esprime preoccupazione per il futuro del Paese a causa dei suoi problemi strutturali.
- il 73% ritiene che l'Italia affronterà un aumento degli arrivi di migranti a causa dei sconvolgimenti globali.
- il 53% teme il collasso finanziario dello Stato.
- il 60% ha paura di un possibile conflitto globale.
- il 50% ritiene che il Paese non sia sufficientemente difeso contro il terrorismo.
Queste percentuali delineano un quadro di ansie diffuse e la quasi
totalità della popolazione sembra rimanere del tutto anestetizzata,
"sonnambula", incapace di reagire in modo significativo agli eventi.
Il Censis rivela anche dati demografici allarmanti, con una prospettiva
per il 2040 in cui solo il 25,8% delle coppie avrà figli. Nel 2050,
l'Italia si troverà a perdere complessivamente 4,5 milioni di
residenti, con un aumento significativo della popolazione anziana.
Ciò comporterà una stima di quasi 8 milioni di persone in meno in età
attiva, con impatti preoccupanti sull'economia e sul sistema produttivo.
Nonostante l'aumento dichiarato dal Governo del del 2,4% dell'occupazione (dato che non trova corrispondenza nel quotidiano
e nella realtà reale lavorativa del paese) l'Italia rimane comunque l'ultima, il fanalino di coda nell'Unione europea per
il tasso di disoccupazione che è altissimo. Basti pensare che su 100 under 30, il 69% risulta essere senza lavoro, incapace
di trovare un impiego contrattualizzato o in linea con la preprazione universitaria acquisita.
Il sondaggio evidenzia anche una netta divergenza tra le posizioni della popolazione e l'agenda politica. Il 74% degli italiani
è favorevole all'eutanasia, il 70,3% sostiene l'adozione da parte dei
single e il 54,3% la sostiene anche per le coppie omosessuali.
Questi risultati suggeriscono una crescente disaffezione dei cittadini verso la politica, poiché molte
di queste tematiche rimangono ignorate o affondate dal Parlamento.
Il Censis sottolinea che gli italiani residenti all'estero superano il
numero degli stranieri in Italia, con quasi 6 milioni di connazionali
all'estero, rappresentanti oltre il 10% della popolazione totale. Un
aumento del 36,7% negli ultimi dieci anni testimonia un'ulteriore
emigrazione,
principalmente concentrata nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni.
In conclusione, il sondaggio del Censis fotografa l'attuale società italiana, con una istantenea da brivido, che mostra
una decadenza totale in ogni settorte e in ogni realtà; un fallimento
mai visto prima: sociale, politico, culturale e comportamentale.
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GLI SPECIALI DE L'AUDACE
𝐀𝐋𝐋𝐀𝐑𝐌𝐄 𝐒𝐀𝐋𝐔𝐓𝐄: 𝐕𝐈𝐑𝐔𝐒 𝐄 𝐍𝐔𝐎𝐕𝐈 𝐁𝐀𝐓𝐓𝐄𝐑𝐈 𝐈𝐍 𝐀𝐑𝐑𝐈𝐕𝐎.
𝐋'𝐈𝐍𝐅𝐋𝐔𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐈 𝐃𝐈𝐅𝐅𝐎𝐍𝐃𝐄 𝐕𝐄𝐋𝐎𝐂𝐄𝐌𝐄𝐍𝐓𝐄 𝐄 𝐈 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐀𝐆𝐈
𝐃𝐀 𝐂𝐎𝐕𝐈𝐃 𝐒𝐎𝐍𝐎 𝐈𝐍 𝐏𝐑𝐄𝐎𝐂𝐂𝐔𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄 𝐀𝐔𝐌𝐄𝐍𝐓𝐎. 𝐓𝐈𝐌𝐎𝐑𝐄
𝐀𝐍𝐂𝐇𝐄 𝐏𝐄𝐑 𝐈𝐋 "𝐌𝐘𝐂𝐎𝐏𝐋𝐀𝐒𝐌𝐀 𝐏𝐍𝐄𝐔𝐌𝐎𝐍𝐈𝐀𝐄", 𝐈𝐋 𝐁𝐀𝐓𝐓𝐄𝐑𝐈𝐎
𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐏𝐎𝐋𝐌𝐎𝐍𝐈𝐓𝐄 𝐂𝐇𝐄 𝐂𝐎𝐋𝐏𝐈𝐒𝐂𝐄 𝐒𝐎𝐏𝐑𝐀𝐓𝐓𝐔𝐓𝐓𝐎 𝐈 𝐆𝐈𝐎𝐕𝐀𝐍𝐈.
Dopo la Cina, il boom delle polmoniti "sospette" interessa anche il Vietnam e soprattutto la Francia: nell’ultima settimana
è emerso un aumento delle infezioni del 44% nei bambini da zero a due anni e del 23% per quelli dai 2 ai 14 anni.
Non si tratta, almeno per il momento, di un allarme vero e proprio, ma l’aumento anomalo di casi di polmonite nei bambini
e nei ragazzi sotto i 15 anni, preoccupa tutto il mondo. La Francia,
una delle regioni per ora più colpite, dopo la Cina e il Vietnam,
nelle ultime settimane sta monitorando con attenzione la situazione.
L’aumento dei casi è dovuto al "Mycoplasma pneumoniae", un batterio che sembrerebbe essere il responsabile dei tanti casi di
polmoniti tra i giovanissimi pazienti che arrivano nei pronto
soccorso con forte affaticamento, febbre, tosse persistente e profonda:
una sintomatologia che nelle ultime settimane è stata tra le prime otto cause di ricorso alle cure d'urgenza. Più in generale,
per la pediatria, l'attività assistenziale per queste patologie risulta raddoppiata rispetto alle ultime due stagioni.
La commissione sanitaria nazionale cinese, su richiesta dell’OMS che ha chiesto chiarimento sull’aumento dei casi di polmonite,
ha riferito che i recenti gruppi di infezioni respiratorie sono dovuti a una sovrapposizione di patogeni già conosciuti,
e cioè di virus comuni come influenza, rinovirus, virus respiratorio
sinciziale o RSV, adenovirus, e da batteri come il Mycoplasma
pneumoniae,
un comune responsabile di infezioni del tratto respiratorio che
colpisce sopratutto i bambini. Si esclude quindi la presenza di un
nuovo virus.
La commissione ha poi invitato le autorità locali ad aprire più
ambulatori per la cura della febbre e a promuovere le vaccinazioni
tra i bambini e gli anziani. Secondo il Consiglio di Stato cinese,
l’influenza raggiungerà un picco tra l’inverno e la primavera,
mentre le infezioni da Mycoplasma pneumoniae rimarranno elevate in
alcune aree. Non esclude, inoltre, una ripresa dei contagi da Covid-19.
In Italia i casi di Covid-19 sono tornati a crescere. Nella terza
settimana di novembre l’aumento è stato del 31% rispetto alla seconda,
con un’incidenza di 76 casi ogni 100 mila abitanti (due settimane fa era di 58). Secondo i dati del ministero della Salute,
in totale sono stati registrati i 44.955 nuovi casi, con un tasso di
positività salito al 17,6%, rispetto al 15,3% della settimana
precedente.
Un incremento che corrisponde anche a una maggiore occupazione dei posti letto nelle strutture ospedaliere
(+7,7%), mentre i decessi sono stati 235 (in crescita dai 192 di sette giorni fa).
Il Ministerò della Sanità però non ritiene questi dati ancora così
preoccupanti tanto da modificare le disposizioni attualmente in vigore.
A tutt'oggi, in caso di positività, non esiste alcun obbligo di
isolamento, ma semplicemente una "raccomandazione" a rimanere in casa
e a non avere meno contatti con altre persone, fino a che i sintomi non sono svaniti. Lo stesso vale per la mascherina:
non sono segnalate situazione in cui è previsto lobbligo di indossarla. E' solo fortemente "consigliato" di indossarla quando
si è positivi e si entra in contatto con soggetti fragili.
I lavoratori contagiati dal Covid possono fare il certificato dal proprio medico di base e comunicare al datore di lavoro
i giorni di malattia, come nel caso dell’influenza. Il medico può decidere di effettuare per la prima volta, o nuovamente,
il tampone per verificare la positività al Covid. Stesse condizioni per
gli studenti: non sono obbligati all’isolamento e vige sempre,
e solo, la "raccomandazione" di restare a casa se contagiati, e se si manifestano febbre e altri sintomi gravi.
Non ci sono più regole nemmeno per quanto riguarda i trasporti e la
frequentazione di luoghi pubblici. Non esiste divieto nel caso
di positività al Covid, e in tutto si affida al buon senso dei
cittadini di rimanere a casa se si manifestano i sintomi della malattia,
o di utilizzare la mascherina secondo la propria coscienza. Il tampone può essere sempre effettuato in Farmacia
o dal medico di famiglia. il risultato positivo viene comunicato
dalla Asl e appare direttamente sul portale sanitario sui siti di
ciascuna regione.
I test acquistati in farmacia e svolti a casa non hanno validità ufficiale.
Più severe invece le regole all’interno degli ospedali e delle Rsa, gli unici posti dove la mascherina è ancora obbligatoria
nei reparti che ospitano anziani e persone fragili, sia per il personale medico-sanitario sia per amici e familiari che vanno
a trovare i pazienti durante gli orari di visita. Ogni ospedale
può stabilire le proprie disposizioni a seconda delle esigenze dei
pazienti
o delle condizioni dei reparti. Il ministero della Salute, inoltre, ha specificato che per chi deve essere ricoverato
o chi entra in pronto soccorso il tampone è obbligatorio sono se il paziente mostra sintomi influenzali.
I dati in rialzo dei nuovi contagi di Covid-19 sono in netto contrasto
con quelli delle vaccinazioni. L’età media dei pazienti ricoverati in
ospedale
è di 77 anni e la campagna di somministrazione della dose
stagionale di vaccino anti-Covid tra gli ultra 60enni è ornai ferma al
4%.
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𝐑𝐀𝐆𝐀𝐙𝐙𝐀 𝐃𝐈 𝟏𝟗 𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐈𝐍 𝐏𝐄𝐑𝐈𝐂𝐎𝐋𝐎:
𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐓𝐀 𝐆𝐑𝐀𝐙𝐈𝐄 𝐀𝐋 "𝐒𝐈𝐆𝐍𝐀𝐋 𝐅𝐎𝐑 𝐇𝐄𝐋𝐏",
𝐈𝐋 𝐆𝐄𝐒𝐓𝐎 𝐈𝐍𝐓𝐄𝐑𝐍𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐀𝐋𝐄 𝐃𝐈 𝐑𝐈𝐂𝐇𝐈𝐄𝐒𝐓𝐀 𝐃'𝐀𝐈𝐔𝐓𝐎
𝐏𝐄𝐑 𝐕𝐈𝐓𝐓𝐈𝐌𝐄 𝐃𝐈 𝐕𝐈𝐎𝐋𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐄𝐒𝐒𝐔𝐀𝐋𝐄.
Milano - E' ormai qualcosa che ogni giorno accade e che dobbiamo,
tutti quanti trovare il modo di fermare, arginare, bloccare e
combattere.
La prima cosa che tutti dobbiamo fare è prestare attenzione, essere
svegli, attenti, perchè anche solo la comprensione di un pericolo
imminente
può salvare la vita a qualcuno. Questa volta lo spavento e la
disavventura sono toccati a una 19enne italiana di seconda generazione,
ed è è stata salvata da un possibile stupro solo grazie all'intuito e
all'attenzione di una commessa del Mc. Donald di via Torino a Milano,
che ha riconosciuto il "Signal for Help" fattole dalla ragazza, il
segnale internazionale d'aiuto per le vittime di violenza sessuale.
La 19enne, che chiameremo Sara, residente in provincia di Bergamo, era
venuta a Milano per assistere a un concerto, e ha conosciuto
un gruppo di ragazzi con cui chiacchierare in Piazza del Duomo. Tra
questi però c'era anche quello che poi è diventato il aggressore,
un 23enne marocchino senza fissa dimora. I due hanno iniziato a parlare dopo che il gruppo si è sciolto
e dopo un po' il ragazzo ha proposto alla giovane di fare una passeggiata.
Arrivati in piazza della Scala però, il marocchino ha iniziato a fare
avances alla ragazza, a palpeggiarla e, al rifiuto di Sara,
secondo quanto raccontato della 19enne, ha iniziato a minacciarla,
dicendole che se si fosse allontanata l'avrebbe "fatta a pezzi".
Sara da qual momento è rimasta impietrita e non è stata in grado di scappare o di chiedere aiuto.
Il marocchino le ha ordinato di seguirla, perchè l'avrebbe portata
nella sua abitazione nei pressi della zona Ticinese. L'ha presa per
mano
e l'ha costretta a seguirlo a piedi. Mentre camminavano sono passati davanti a un McDonald's dove Sara ha notato una dipendente
che stava chiudendo il locale. Ha tentato di avvicinarsi a lei con la scusa di poter andare in bagno ma la commessa
le ha detto che i servizi erano già stati chiusi al pubblico. E' stato
in quel momento che Sara ha tentato il tutto per tutto: mentre parlava
con la commessa le ha mostrato il segnale di aiuto stando attenta che il suo rapitore non la notasse.
La commessa per fortuna ha subito riconosciuto il gesto perchè, e a
volte il caso è proprio benevolo, è stata lei stessa a diffondere
la conoscenza del Signal for Help sul suo profilo social. La dipendendente di Mc Donald ha immediatamente chiamato
il 112 e la polizia, subito intervenuta, è riuscita a rintracciare
Sara e il suo aggressore prima che arrivassero nella abitazione,
arrestando il marocchino e portando Sara in ospedale per accertamenti, dato che aveva segni di ferite
sulle braccia e sul volto oltre ad essere visibilmente sotto shock.
La storia di Sara è un esempio di come sia importante essere attenti ai segnali di aiuto delle donne. Il "Signal for Help"
è un gesto semplice, ma può salvare la vita. È importante diffondere la
conoscenza di questo gesto e insegnare a tutti a riconoscerlo.
Ognuno di noi, infatti, può fare la differenza.
L'Audace, un anno fa, ha pubblicato un piccolo vademecum per evitare situazioni a rischio e per riconoscere i segnali
di pericolo in caso di una donna che subisce violenza. Ecco alcuni dei segnali più comuni: un cambiamento repentino di umore
o di comportamento; un atteggiamento di chiusura o di isolamento: una diminuzione dell'autostima o della fiducia;
l'uso improvviso di alcol o droghe; la presenza di lesioni o lividi. Se notate uno di questi segnali, è importante intervenire.
Potete chiedere alla persona se sta bene e se ha bisogno di aiuto.
Oppure, potete contattare un centro antiviolenza o le forze dell'ordine.
(https://www.facebook.com/laudaceonline/posts/pfbid0eu1CE5HyYG2M6uiajvC3XwS7scBgnUw4B8nKu9S76FJBYA7fJkwNkP6KngGphjhMl)
La storia di Sara è una storia, purtroppo, che può accadere tutti i giorni, e la commessa del Mc. Donald
ha dimostrato intelligenza, attenzione, coraggio e solidarietà.
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𝐀𝐂𝐈𝐃𝐎 𝐂𝐎𝐍𝐓𝐑𝐎 𝐋𝐀 𝐄𝐗: 𝐋𝐀 𝐆𝐈𝐔𝐒𝐓𝐈𝐙𝐈𝐀 𝐇𝐀 𝐅𝐀𝐋𝐋𝐈𝐓𝐎 𝐃𝐈 𝐍𝐔𝐎𝐕𝐎
Ancora tutti scossi e sdegnati per il femminicidio di Giulia
Cecchettin, uccisa a coltellate dal suo ex fidanzato e lasciata morire
dissanguata
dopo una lunga agonia, dobbiamo subito fare i conti con un'altra
aggressione brutale e vigliacca, un crimine odioso
che ha colpito un'altra giovane donna innocente. E per l'ennesima volta, la giustizia italiana ha fallito
nel proteggere una vittima che aveva già denunciato il suo aggressore.
La vicenda è quella di una ragazza di 23 anni, aggredita dall'ex
fidanzato, Said Cherrah, 25 anni, nella zona industriale di Erba,
in provincia di Como. L'uomo ha gettato acido muriatico sul viso e sul
corpo della giovane, che è stata portata in ospedale con gravi ustioni.
Cherrah è stato arrestato dai carabinieri, ma la sua liberazione dopo l'arresto per stalking di agosto
è un fatto gravissimo che getta un'ombra sulla giustizia italiana.
La storia purtroppo era nota alle istituzioni. La ragazza aveva denunciato l'ex fidanzato per stalking, e lui l'aveva attesa
fuori dalla caserma dei carabinieri e le aveva danneggiato l'auto con il crick. Cherrah era stato arrestato,
ma poi aveva ottenuto i domiciliari e a settembre era stato rimesso in libertà con il divieto di avvicinamento alla vittima.
Un divieto che, evidentemente, non è stato rispettato. L'uomo ha dato
appuntamento alla ragazza e l'ha aggredita in modo vile e brutale.
Questa vicenda è un altro fallimento della giustizia italiana. La vittima ha denunciato il suo aggressore,
ma non è stata protetta a sufficienza. Cherrah è stato libero di continuare a perseguitarla e alla fine
ha commesso un crimine orribile. La giustizia italiana deve rivedere le
sue procedure per la tutela delle vittime di violenza e stalking.
I provvedimenti restrittivi devono essere più severi e devono essere applicati con maggiore rigore.
Inoltre, è necessario aumentare la sensibilizzazione su questo tema. La violenza nei confronti delle donne
è un problema grave che riguarda tutti, indipendentemente dall'età, dalla classe sociale o dalla provenienza.
La ragazza di Erba è una vittima innocente che ha subito un'aggressione brutale. La giustizia doveva fare di più
e di tutto per proteggerla e per assicurarsi che l'autore del crimine
venisse punito severamente proprio per evitare quanto accaduto oggi.
Inoltre, è necessario fare un passo indietro e chiedersi come sia potuto accadere che un uomo già condannato
per stalking abbia potuto aggredire nuovamente la sua ex fidanzata. La risposta è semplice: la giustizia
italiana non ha fatto il suo dovere, o l'ha fatto male, il che non cambia le cose. I provvedimenti restrittivi
non sono stati applicati in modo efficace e la vittima non è stata protetta.
Questo è un fallimento grave che deve essere affrontato. È necessario cambiare le procedure per la tutela
delle vittime di violenza e stalking e aumentare la sensibilizzazione su questo tema. Solo così potremo evitare
che tragedie come quella di Erba, e come le oltre 100 dal Gennaio ad oggi, si ripetano.
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GLI SPECIALI DE L'AUDACE
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𝐀𝐋𝐂𝐔𝐍𝐈 𝐆𝐈𝐎𝐑𝐍𝐀𝐋𝐈𝐒𝐓𝐈 𝐒𝐀𝐏𝐄𝐕𝐀𝐍𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐈𝐌𝐌𝐈𝐍𝐄𝐍𝐓𝐄 𝐀𝐓𝐓𝐀𝐂𝐂𝐎
𝐃𝐈 𝐇𝐀𝐌𝐀𝐒 𝐈𝐍 𝐈𝐒𝐑𝐀𝐄𝐋𝐄 𝐄 𝐍𝐎𝐍 𝐇𝐀𝐍𝐍𝐎 𝐈𝐍𝐅𝐎𝐑𝐌𝐀𝐓𝐎 𝐍𝐄𝐒𝐒𝐔𝐍𝐎?
𝚂𝙴
𝙴' 𝚅𝙴𝚁𝙾 𝚂𝙸 𝚃𝚁𝙰𝚃𝚃𝙰 𝙳𝙴𝙻𝙻𝙰 𝙿𝙸𝚄' 𝙶𝚁𝙰𝙽𝙳𝙴
𝚅𝙴𝚁𝙶𝙾𝙶𝙽𝙰
𝙳𝙴𝙻 𝙶𝙸𝙾𝚁𝙽𝙰𝙻𝙸𝚂𝙼𝙾 𝙼𝙾𝙽𝙳𝙸𝙰𝙻𝙴, 𝙿𝙴𝚁𝙲𝙷𝙴' 𝙽𝙾𝙽 𝚂𝙰𝚁𝙴𝙱𝙱𝙴 𝙿𝙸𝚄'
𝙸𝙽𝙵𝙾𝚁𝙼𝙰𝚉𝙸𝙾𝙽𝙴,
𝙼𝙰 𝙲𝙾𝙼𝙿𝙻𝙸𝙲𝙸𝚃𝙰' 𝙸𝙽 𝙰𝚃𝚃𝙸 𝙳𝙸 𝚃𝙴𝚁𝚁𝙾𝚁𝙸𝚂𝙼𝙾.
(𝖭𝖤𝖫𝖫𝖮 𝖲𝖯𝖤𝖢𝖨𝖠𝖫𝖤 𝖳𝖴𝖳𝖳𝖤 𝖫𝖤 𝖫𝖤𝖦𝖦𝖨 , 𝖨𝖳𝖠𝖫𝖨𝖠𝖭𝖤 𝖤 𝖬𝖮𝖭𝖣𝖨𝖠𝖫𝖨 )
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Misteri e dubbi sul ruolo di 4 fotografi freelance al massacro di
Hamas. Sapevano cosa sarebbe successo? Il governo israeliano e
l'organizzazione
non governativa Honest Reporting chiedono spiegazioni alle agenzie di
stampa che hanno pubblicato le foto dei quattro giornalisti.
Come ormai sa tutto il mondo il 7 ottobre, un gruppo di terroristi di
Hamas ha condotto un sanguinoso attacco alla Striscia di Gaza,
uccidendo migliaia di persone,
tra cui molti bambini. Le immagini dell'attentato, riprese da bodycam e
dai telefoni dei miliziani, hanno fatto il giro del mondo, suscitando
orrore e sdegno.
Tra le immagini che hanno colpito di più, ci sono quelle scattate da
quattro fotografi freelance che lavorano per agenzie di stampa
internazionali, tra cui
Associated Press e Reuters. Le foto, che mostrano i terroristi in
azione, sono state utilizzate da media di tutto il mondo per raccontare
l'attentato.
Tuttavia, la presenza di questi fotografi sul luogo dell'attacco ha sollevato una serie di dubbi e interrogativi. Innanzitutto,
come potevano essere presenti lì, così presto, senza l'autorizzazione
delle autorità israeliane? In secondo luogo, come facevano a spaere
cosa sarebbe successo? In terzo luogo, il più atroce: hanno collaborato con i terroristi?
L'organizzazione non governativa Honest Reporting, che da sempre "monitora i media alla ricerca di pregiudizi contro Israele",
ha pubblicato un report in cui solleva questi dubbi. Nel report, Honest Reporting scrive che i quattro fotografi,
Hassan Eslaiah, Yousef Masoud, Ali Mahmud e Hatem Ali, erano già
presenti sul luogo dell'attacco prima che i terroristi iniziassero a
sparare.
Honest Reporting cita anche alcune prove che suggeriscono che i
fotografi fossero a conoscenza del piano dell'attacco. Ad esempio,
Eslaiah ha pubblicato su Twitter un'immagine di sé in piedi davanti a un carro armato israeliano in fiamme, con la didascalia
"In diretta dall'interno degli insediamenti della Striscia di Gaza".
Inoltre, Eslaiah è stato visto in un filmato in cui è in moto,
dietro a un miliziano, e sembrerebbe tenere nella mano sinistra una granata.
Le agenzie di stampa che hanno pubblicato le foto dei quattro
fotografi, Associated Press e Reuters, hanno affermato di non essere
a conoscenza degli attacchi prima che accadessero. Tuttavia, hanno sospeso la collaborazione con Eslaiah.
Il governo israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di
considerare con "severità" le informazioni contenute nel report
di Honest Reporting. L'ufficio stampa del governo ha etichettato
i giornalisti come "complici di crimini contro l'umanità".
I dubbi e le accuse sollevate da Honest Reporting e dal governo
israeliano hanno suscitato sdegno e indignazione in tutto il mondo.
Molti commentatori hanno accusato i fotografi di aver violato il codice
deontologico del giornalismo, collaborando con un gruppo
terroristico e documentando un crimine contro l'umanità. Altri, invece, hanno sostenuto che i fotografi stavano semplicemente
svolgendo il loro lavoro, documentando un evento storico. Hanno anche affermato che i fotografi non erano a conoscenza
del piano dell'attacco e che non hanno collaborato con i terroristi. La
vicenda è ancora in fase di accertamento. Tuttavia, è chiaro
che il ruolo dei quattro fotografi freelance al massacro di Hamas è destinato a rimanere un mistero.
LE LEGGI E LE NORMATIVE SULL'ARGOMENTO:
In Italia, i giornalisti sono tenuti a informare le autorità competenti
se sono a conoscenza di atti criminali. Questo obbligo è previsto
dalla legge 3 agosto 1990, n. 241, che regola l'accesso ai documenti amministrativi. L'articolo 26 di questa legge prevede
che chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d'ufficio è
obbligato a denunciarlo all'autorità giudiziaria. Questa disposizione
si applica anche ai giornalisti, che sono considerati soggetti pubblici
ai sensi della legge. L'obbligo di denuncia è un obbligo di legge,
che non può essere derogato da alcun accordo o convenzione. I giornalisti che non denunciano un reato perseguibile
d'ufficio possono essere puniti con la reclusione da sei mesi a due anni.
Inoltre, la legge 18 marzo 2000, n. 71, che disciplina la tutela della riservatezza delle notizie giornalistiche, prevede che
i giornalisti sono tenuti a rivelare alle autorità competenti le notizie che riguardano un reato perseguibile d'ufficio,
se la rivelazione è necessaria per impedire la commissione del reato o per assicurare le prove. In questo caso, il giornalista
non è punibile per la violazione del segreto professionale, beneficio e dovere quest'ultimo, riservato ai soli giornalisti
iscritti nell'elenco dei Professionisti, quindi non esteso ai pubblicisti.
L'obbligo di informare le autorità competenti di atti criminali è
giustificato dal fatto che la libertà di informazione non può essere
assoluta.
Il diritto di cronaca, infatti, deve essere bilanciato con il diritto alla sicurezza e alla giustizia. La denuncia dei reati
è un importante strumento per garantire la tutela dei diritti dei
cittadini e per assicurare l'ordine pubblico. I giornalisti, in quanto
soggetti pubblici, hanno un ruolo fondamentale in questo processo.
Ma le norme che obbligano i giornalisti a informare le autorità competenti di atti criminali
sono presenti in molti paesi del mondo. In Europa, l'obbligo di denuncia è previsto dalla Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, che è stata ratificata da tutti i paesi dell'Unione europea. L'articolo 6 della Convenzione prevede che
chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d'ufficio è obbligato a denunciarlo all'autorità giudiziaria.
In molti paesi europei, l'obbligo di denuncia è previsto anche da leggi nazionali. Ad esempio, in Francia, l'articolo 40
del codice di procedura penale prevede che chiunque abbia notizia di un
reato perseguibile d'ufficio è obbligato a denunciarlo all'autorità
giudiziaria.
In America, l'obbligo di denuncia è previsto dalla Convenzione
americana sui diritti umani, che è stata ratificata da molti paesi del
continente.
L'articolo 29 della Convenzione prevede che chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d'ufficio è obbligato a
denunciarlo all'autorità giudiziaria. In molti paesi americani,
l'obbligo di denuncia è previsto anche da leggi nazionali. Ad esempio,
negli Stati Uniti,
l'articolo 312 del codice penale federale prevede che chiunque abbia
notizia di un reato perseguibile d'ufficio è obbligato a denunciarlo
all'autorità giudiziaria.
In Asia, l'obbligo di denuncia è previsto da molte leggi nazionali. Ad
esempio, in Cina, la legge sulla prevenzione e repressione dei reati
prevede che chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d'ufficio è obbligato a denunciarlo all'autorità giudiziaria.
In Africa, l'obbligo di denuncia è previsto da molte leggi nazionali. Ad esempio, in Sud Africa, la legge sulla polizia prevede
che chiunque abbia notizia di un reato perseguibile d'ufficio è obbligato a denunciarlo all'autorità giudiziaria.
In generale, l'obbligo di denuncia dei reati è giustificato dal fatto
che la libertà di informazione non può essere assoluta. Il diritto di
cronaca,
infatti, deve essere bilanciato con il diritto alla sicurezza e alla
giustizia. La denuncia dei reati è un importante strumento per
garantire
la tutela dei diritti dei cittadini e per assicurare l'ordine pubblico.
I giornalisti, in quanto soggetti pubblici, hanno un ruolo fondamentale
in questo processo.
Solo in alcuni casi, l'obbligo di denuncia dei reati può essere
derogato. Ad esempio, il giornalista può essere esonerato dall'obbligo
di denuncia se la denuncia potrebbe mettere in pericolo la vita o l'integrità fisica di una persona; se la denuncia potrebbe
compromettere la riservatezza di una fonte e se la denuncia riguarda un
reato che è già stato denunciato da altri soggetti. Inoltre,
il giornalista può essere esonerato dall'obbligo di denuncia se la
denuncia è finalizzata a impedire la commissione di un reato più grave.
Ad esempio, un giornalista che è a conoscenza di un piano per commettere un attentato terroristico può essere esonerato
dall'obbligo di denuncia se la denuncia potrebbe mettere in pericolo la vita di innocenti.
L'obbligo di denuncia dei reati è stato comunque criticato da alcuni giornalisti, specialmente della stampa estera,
che lo considerano una violazione della libertà di informazione. I
critici sostengono che l'obbligo di denuncia potrebbe dissuadere
i giornalisti dal pubblicare notizie che potrebbero portare alla
denuncia di reati. Inoltre, i critici sostengono che l'obbligo
di denuncia è arbitrario, in quanto non è sempre chiaro quali reati siano perseguibili d'ufficio. I critici sottolineano
che l'obbligo di denuncia potrebbe portare alla denuncia di reati che
non sono effettivamente reati, o che sono di scarsa rilevanza pubblica.
Nonostante le critiche, l'obbligo di denuncia dei reati è una norma presente in molti paesi del mondo. La norma è giustificata
dal fatto che la libertà di informazione non può essere assoluta, e che
la tutela dei diritti dei cittadini e dell'ordine pubblico è un
obiettivo importante.
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𝐌𝐈𝐋𝐀𝐍𝐎:
"𝐀𝐈𝐔𝐓𝐀𝐓𝐄𝐂𝐈 𝐀 𝐒𝐀𝐋𝐕𝐀𝐑𝐄 𝐆𝐋𝐈 𝐎𝐒𝐓𝐀𝐆𝐆𝐈 𝐈𝐒𝐑𝐀𝐄𝐋𝐈𝐀𝐍𝐈"
𝐓𝐀𝐍𝐓𝐄 𝐅𝐎𝐓𝐎 𝐀𝐏𝐏𝐄𝐒𝐄 𝐈𝐍 𝐌𝐀𝐓𝐓𝐈𝐍𝐀𝐓𝐀 𝐍𝐄𝐋 𝐂𝐄𝐍𝐓𝐑𝐎 𝐂𝐈𝐓𝐓𝐀'.
Foto di ostaggi israeliani tenuti prigionieri da Hamas a Gaza sono
apparse all'alba di oggi in varie zone del centro città. Le immagini,
in bianco e nero,
ritraggono i volti dei cinque cittadini israeliani rapiti nel maggio
scorso da un gruppo di miliziani del movimento islamico
palestinese.
Le foto sono state appese a delle cabine telefoniche, in piazza
Castello, piazza Cordusio, negli ingressi delle metropolitane in piazza
del Duomo.
I manifesti, di grandi dimensioni, riportano anche una didascalia in
italiano e in inglese che chiede la liberazione degli ostaggi.
"Queste foto degli ostaggi da Hamas, tenuti prigionieri a Gaza,
pubblicate all'alba oggi a Milano, significano molto per me", scrive un
utente su Twitter, Anshel Pfeffer.
"Milano è dove mia nonna trovò rifugio quando fuggì dalla Germania
nazista e mio nonno la incontrò e ricostruì la sua vita dopo
essere sopravvissuto ai campi".
Al momento non è noto chi ha portati avanti questo blitz nelle prime
ore dell'alba. Probabilmente si tratta di un'iniziativa di un gruppo
di attivisti che vogliono sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sorte degli ostaggi israeliani.
Il rapimento dei cinque cittadini israeliani ha suscitato grande
clamore in tutto il mondo. Hamas ha chiesto in cambio della loro
liberazione la liberazione
di oltre 2.500 prigionieri palestinesi detenuti in Israele. L'esercito
israeliano ha lanciato una serie di attacchi contro Gaza per cercare
di liberare gli ostaggi, ma finora le operazioni non hanno avuto successo.
Le foto apparse a Milano rappresentano un nuovo colpo di scena in questa vicenda che si trascina ormai da mesi.
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GLI SPECIALI DE L’AUDACE
GIORGIO ALMIRANTE: GIORNALISTA, DECORATO
CON LA CROCE DI GUERRA AL VALOR MILITARE,
PADRE DELLA DESTRA ITALIANA DEL DOPOGUERRA,
OGGI E’ SOLO UNO SCOMODO IDEALE DIMENTICATO.
di Salvatore Giuliano
Per chi crede che da un anno in Italia ci sia un Governo di Destra è arrivato il momento di ricredersi e di documentarsi,
facendo un passo indietro nella storia d’Italia per capire cosa sia
veramente la destra italiana, e quali siano i valori che incarna
e che dovrebbero rappresentare un popolo con degli ideali inossidabili,
e non ballerini o intermittenti in base al tornaconto economico
o di altri compromessi tipici di una politica che mai la destra
italiana ha rappresentato e rappresenta. Il Governo Meloni,
ideologicamente,
non ha nulla a che fare con la destra identitaria nata nel dopoguerra,
non si configura con le radici di una destra autentica, sociale e
patriottica;
radici piantate da Giorgio Almirante, segretario del Movimento Sociale Italiano, diventato poi M.S.I-DN, poi annacquato in AN
dopo la svolta di Fiuggi, fino a trasformarsi in un ibrido
partito di destra apparente come FDI. Oggi quasi tutti i movimenti
giovanili
della destra si sono dissociati dalla politica di questo governo
e contestano apertamente le scelte e le posizioni prese dal Premier,
perché le ritengono antisociali, e questo è sempre stato un punto
fermo della vera destra italiana, e soprattutto le considerano
non identitarie nel complesso panorama della confusione politica generale.
E’ impossibile, e sarebbe comunque anche scorretto ideologicamente solamente ipotizzarlo, fare oggi un confronto
di parallelismo personale tra Giorgia Meoni e Giorgio Almirante, ma è evidente che la destra italiana,
allo stato dei fatti attuali, non esiste più. Perché le manovre
finanziarie, gli interventi generali, la ferma convinzione europeista
e gli atteggiamenti unilaterali assunti nei confronti della geopolitica
nel conflitto bellico russo/ucraino, spostano l’asse ideologico
di un movimento nato con la volontà di dare al paese una identità autoctona e ben precisa, mantenendo integri i valori
della sicurezza, degli interventi sociali, del funzionamento
della pubblica amministrazione, e dell’impegno primario, e principe,
di garantire al paese solidità, ordine e osservanza di leggi giuste e applicate con giustezza.
Tutto questo oggi non c’è, non esiste, e FDI non sta cercando di ripristinare un equilibrio che da anni e anni
questo paese non ha più, e non certo per colpa di FDI. Ha trovato sicuramente uno sfacelo, e questo è innegabile,
ma le scelte e la politica che questo governo sta attuando e sta intraprendendo, non hanno nulla a che vedere
con qualcosa che ricalca gli schemi e le matrici della destra
nazionale ideata e voluta e costruita a fatica da Giorgio Almirante.
E non è certo in merito alle piccole manchevolezze e alla polemica sterile del nome delle vie da dedicare al compianto
segretario del MSI che si possono identificare le numerose,
e troppe, incongruenze politiche di questo Governo.
Per quanto, anche sull’argomento della dedica delle vie, qualche parola da dire in merito ci sarebbe pure: per anni FDI,
quando era all’opposizione, ha fatto battaglie durissime per ottenere l’autorizzazione di intitolare vie e piazze
a Giorgio Almirante; autorizzazioni sempre negate, ma oggi che si trova
al comando di una nazione sembra aver dimenticato ogni cosa.
Nel 2016 Giorgia Meloni, in corsa per la poltrona di Sindaco a Roma, lanciò il suo anatema: “da sindaco intitolerò una
strada ad Almirante e non ci daremo mai per vinti”: ma Giorgia Meloni non è mai diventata Sindaco,
però adesso che è addirittura la prima carica dello Stato, non ha tempo e voglia di ricordarsi quello che aveva
in mente di fare quando era candidata a diventare il primo cittadino della Capitale.
Tutt’altra pasta insomma; tutt’altra capacità e coerenza politica, ma
soprattutto tutt’altra destra, che non si può né paragonare
né confrontare con chi la destra in Italia l’ha costruita nel dopoguerra, con grande difficoltà e con avversari ostili
e difficili da sbaragliare, perché agguerriti e senza la minima voglia di cedere il passo a un uomo che oggi, seppur ricordato
con estremo rispetto da tutte le forze politiche, anche quelle
contrarie e avversarie, non è diventato altro che uno scomodo confronto
con gli ideali, gli spessori e la profondità, l’onestà intellettuale e
politica, che nulla hanno a che vedere con quelli di Giorgio Almirante.
Almirante è nato a Salsomaggiore Terme il 27 giugno 1914 ed è deceduto a Roma il 22 maggio 1988. E’ stato uno dei più amati
e detratti politici italiani. Funzionario del regime fascista durante
la Repubblica Sociale Italiana, per la quale ricoprì la carica
di capo di gabinetto al Ministero della cultura popolare, fu
esponente di spicco della Prima Repubblica mantenendo la carica
di deputato dal 1948 alla sua morte. Nel dopoguerra fu di fatto il fondatore del Movimento Sociale Italiano, un partito
dalla netta e inconfondibile matrice destrorsa, e di cui fu segretario
tra il 1947 ed il 1950 e, successivamente, tra il 1969 ed il 1987,
appoggiò la fusione con gli esponenti monarchici che comportò la
ridenominazione del partito in Movimento Sociale Italiano - Destra
Nazionale.
Adolescente a Torino si iscrisse al Ginnasio e prese la
maturità Classica a Roma all’inizio degli anni Trenta. Si
iscrisse alla facoltà
di lettere e filosofia della Sapienza e si dedicò al giornalismo
politico diventando praticante al quotidiano Il Tevere.
Dopo il conseguimento della laurea e dopo il servizio militare, tornò al giornale dove divenne caporedattore.
Nel 1938 fu segretario di redazione della rivista “la difesa della razza”, ma nel dopoguerra, in più occasioni, ripudiò
le tesi che aveva sostenuto sulla questione razziale, e nel 1940
fu corrispondente di guerra al fronte africano e venne
decorato di Croce di guerra al valor militare. Il 26 luglio 1943, il giorno successivo alla caduta del fascismo, Almirante
andò regolarmente al lavoro a Il Tevere con il distintivo del Partito
nazionale fascista (PNF) sulla giacca, e tra il luglio e il settembre
del 1943 aveva trovato lavoro al ministero della Cultura Popolare, dove diventerà capogabinetto nel maggio del 1944.
Al contrario di quanto molti credono nella RSI Almirante non svolse
attività propriamente politica, ma soprattutto burocratica e
giornalistica.
Nei giorni dell’insurrezione, Almirante trovò rifugio a Milano
nell’abitazione di Emanuele Levi, un amico ebreo e compagno di scuola a
Torino,
a cui aveva anche cercato di evitare al padre la deportazione in
Germania. Alla fine del 1947 si misurò con le prime elezioni che
coinvolsero
il MSI che sfiorò il 4% dei consensi. Volle dare al Partito una impostazione fortemente identitaria riproponendo
le riforme sociali della RSI e allontanando la prospettiva di un semplice anticomunismo.
Almirante mostrò da segretario del movimento la sua principale abilità, che poi fu una costante nella sua vita politica,
ovvero l’inossidabile legame con la base dei militanti. La sua correttezza parlamentare, il suo permanere orgogliosamente
all’opposizione, senza alcuna speranza di raggiungere il potere, erano dimostrazione di una pratica accettazione delle
regole dello Stato democratico, senza mai dimenticare però le sue
origini di pensiero. Il fascismo per Almirante, come per tutto il MSI,
non era tanto un’ideologia, quanto un “vissuto”, un comportamento, uno
stile di vita. Si potevano accettare lo Stato democratico, le elezioni,
il suffragio popolare, ma alla condizione di non dovere, contemporaneamente, rinnegare se stessi e il proprio passato.
Dal punto di vista politico, Almirante ritenne l’umanesimo del lavoro e del sociale come struttura portante della società
che aveva in mente: le proposte politiche alle quali fu più legato, e
che propose costantemente e con forza, furono la integrazione
della rappresentanza parlamentare e la partecipazione agli utili e alla
gestione delle imprese che, insieme con la repubblica presidenziale,
non dovevano lasciare nessun italiano indietro, perchè Almirante ha
sempre sostenuto con fermezza e caparbietà che non si dovevano creare
sacche
di ricchezza o di povertà, ma una società giusta ed equilibrata
dove, appunto, il sociale ne diventasse la bandiera e lo stemma.
La grande popolarità conquistata dal MSI accrebbe ulteriormente con la
campagna per il ritorno di Trieste all’Italia e il successo alle
elezioni del 1953.
Nel 1969 Almirante tornò alla segreteria del Partito, che gestì
proseguendo con la sua incrollabile politica di destra che aveva
caratterizzato
la segreteria precedente, con il nuovo nome aggiunto al vecchio MSI:
DN, Destra Nazionale, a significare un forte ancoraggio a destra
con i monarchici e con i cattolici. I risultati vennero alle elezioni amministrative del 1971 e alle politiche del 1972,
quando raggiunse il suo massimo storico: 8,6% alla Camera e 9,1% al
Senato, quasi tre milioni di voti per complessivi 81 parlamentari.
Nel 1974 il MSI-DN decise di appoggiare il referendum abrogativo della legge sul divorzio, introdotta nel 1970.
Dopo il congresso del 1977 iniziò un’altra fase della seconda
segreteria di Almirante e quattro anni dopo, nelle elezioni
anticipate del 1987,
ci fu un lieve ridimensionamento dei consensi. Fu così indetto il XV congresso a Sorrento nel Dicembre del 1987,
dove Almirante raccomandò di diffidare dalle storicizzazioni, perché potevano essere un’anticamera della liquidazione.
Un paio di mesi prima del congresso, indicò il possibile successore in Gianfranco Fini. Almirante ribadì il concetto:
“noi siamo quello che fummo, e saremo domani quello che siamo”. Ricoprì la carica ancora per soli quattro mesi:
la sua salute, già precaria, peggiorò e, dopo un’ultima operazione, morì il 22 maggio 1988.