Il male era nella sua mente e da lì
non c'era verso che uscisse.

 

Il documento era nuovo di zecca. Paul non ne aveva mai avuto uno fino a quel momento. O così credeva. In tutti i casi, comunque, non era in grado di ricordarselo. Lo rigirò tra le dita un paio di volte, quasi ammirato, sorpreso. Era molto strano per Paul trovare qualcosa che lo sorprendesse, ma quel documento rapiva la sua curiosità.
Il colore, la plastificazione, i suoi dati scritti nero su bianco e la fotografia. Contemplò la fotografia con il timbro dell'ufficio comunale che l'autenticava. In quella foto Paul somigliava maledettamente a Jack Nicholson nel film "Il postino suona sempre due volte" ma non poteva saperlo.
Anzi, a dire il vero, era molto meglio di Jack Nicholson: i tratti del suo viso erano più squadrati e le ciglia molto più lunghe. Per non parlare della statura (quasi due metri) e del suo eccezionale fisico atletico e muscoloso. Paul era davvero quell'uomo che tutte le mogli si sforzano di non guardare quando sono a passeggio con i loro mariti.
Indossava un paio di jeans ed una maglietta bianca. Il giubbotto di pelle nera era mezzo slacciato. Da una tasca fuoriusciva solo una parte del giornale di annunci economici. Paul si mosse silenzioso sulle scarpe da tennis, tenendo ancora in mano quel documento.
Una signora che teneva un bambino per mano seguì con la coda dell'occhio il passo lento ed incerto di Paul, lui se ne accorse e diresse verso di lei un'occhiata cupa, tenebrosa. La donna, celando l'imbarazzo, fece finta di nulla e proseguì per la sua strada.
"Puttana...", mormorò Paul sottovoce mentre riponeva il documento con cura nella tasca interna del giubbotto. La grazia con la quale trattava quel pezzo di plastica era persino patetica, ma Paul non se ne rendeva davvero conto.
A occhio e croce dimostrava una trentina d'anni ma la data di nascita sul documento lo ufficializzava quarantatreenne. Scostò la grande porta di vetro e si immerse in mezzo al caos delle undici di mattina. Era una bellissima giornata ed il sole era splendente; la primavera era arrivata da soli tre giorni e Paul se la sentiva dentro, in ogni parte del corpo. Entrò in un caffè e dopo essersi seduto ad un tavolo ordinò da bere e spiegò il giornale.
Doveva trovare un lavoro, una casa e forse - se avesse insistito un po' - avrebbe potuto anche trovare se stesso, da qualche parte.
Non era stato affatto difficile sorprendere quello sprovveduto nel mezzanino del metrò. Dopo avergli preso soldi e documenti (e dopo avergli spezzato l'osso del collo) lo aveva buttato sotto il treno e tutto quello che in seguito avrebbero raccolto dello sconosciuto, si sarebbe potuto tranquillamente contenere in una bustina di plastica. Aveva fatto le fotografie proprio in quella stazione, tra il panico ed il caos che si era creato per "l'incidente" appena avvenuto. Qualcuno diceva che un tizio era finito sotto il treno, forse un suicida. Mah... la vita di oggi è così frenetica, aveva pensato Paul, mentre aspettava le fotografie.
Paul Castle nato a Columbus nel '47, residente a N.Y., celibe, agente immobiliare: poteva andargli anche peggio. Lui in effetti, di se stesso, non ne sapeva assolutamente nulla; quindi un qualsiasi Paul Castle gli andava benissimo, anzi, per quanto poteva mai saperne, poteva essere sempre stato Paul Castle fino a quel momento, in quanto la sua memoria era totalmente azzerata.
Però sapeva. Sapeva tutto, le regole, le cose da sapere. Nella sua mente era immagazzinata una serie enciclopedica di nozioni generali, tranne i dati relativi alla sua identità.
Entro le cinque del pomeriggio aveva trovato casa e lavoro: un monolocale in affitto nel Queens ed un lavoro come uomo di fatica in un supermercato a Long Island.
Aveva perso quasi la pazienza quando il titolare di quel negozio d'armi gli aveva puntato in faccia la canna della 45 che stava comprando. Paul si trattenne a stento, visto che quel negozio era a soli duecento metri dalla sua nuova abitazione e non voleva problemi, non ora, non lì.
Nessuno poteva permettersi di puntargli una pistola in faccia e farla franca. No, no. Quel commerciante era proprio a corto di sogni. Era zavorra.
Già, zavorra. Per Paul quasi tutti erano zavorra, pesi della società, feccia. Insulsi uomini che invece di vivere vegetavano come piante: erano tutti a corto di sogni, ma ci avrebbe pensato lui, eccome. Oltre alla 45 aveva preso tre confezioni di cartucce corazzate e tre coltelli da caccia.
“Ha intenzione di divertirsi un po', amico?", aveva chiesto il commerciante sorridendo. Paul lo aveva solamente guardato, senza rispondere. L'armaiolo decise di abbandonare immediatamente quel sorriso idiota che gli si era stampato sul viso. Aveva desiderato anche che quel cliente se ne andasse alla svelta perché quello sguardo lo aveva spaventato; tanto che portò istintivamente la mano sul calcio della 38 che teneva infilata nella cintola dei pantaloni. Paul aveva continuato a fissarlo dritto negli occhi ed il commerciante tolse prudentemente la mano dal calcio della pistola, tanto per non peggiorare la situazione. Paul accennò un sorriso, lievemente, e l'altro tirò un sospiro di sollievo. Ma per tutto il tempo che Paul restò nel suo negozio, il commerciante sudò freddo.
Verso le dieci di sera Paul uscì di casa. Aveva mangiato due hamburger e bevuto quasi un litro di birra.
Non aveva forse ricordato qualcosa? Sì, giusto qualcosa. Come un flashback, un ricordo visto alla moviola. Ma era il ricordo della luce, quella che aveva visto per la prima volta quella stessa mattina. Si era trovato nudo e spaesato in un parcheggio sotterraneo, tremendamente confuso. Ricordava benissimo che quando aveva aperto gli occhi, e nonostante ci fosse abbastanza buio, quella luce gli folgorò la retina. Dovette abbassare le palpebre e riaprirle lentamente, poi tutto divenne normale e non provò più nessun dolore.
Aveva una fame incredibile e per fortuna arrivò quel ladruncolo in cerca di qualche stereo da arraffare.
Quando quello lo vide scoppiò a ridere maleducatamente. "Ehi, ti hanno ripulito per bene eh?", disse lo sventurato senza sapere che quelle sarebbero state le sue ultime parole. Paul si alzò, barcollando, e sussurrò: "Avresti fatto molto meglio a startene a casa a dormire, forse avresti potuto sognare". Fulmineamente gli sferrò un calcio ai testicoli e lo sconosciuto si portò istintivamente le mani al basso ventre sbuffando qualcosa di incomprensibile. Paul gli assestò un pugno sulla tempia destra che lo sollevò da terra mandandolo a sbattere contro un'auto in sosta. L'urto del corpulento sciagurato sulla portiera dell'auto fece scattare l'antifurto. La sirena dell'allarme interruppe il silenzio del parcheggio sotterraneo e Paul si guardò velocemente in giro, come un animale braccato. Quando si rigirò, quel balordo di mezza tacca stava cercando - in un pietoso stato di semi incoscienza e per niente in sé - di estrarre qualcosa dalla tasca dei jeans. Era in ginocchio e una tempia gli sanguinava abbondantemente. Riuscì ad estrarre un coltello a serramanico e ne fece scattare la lama. Paul lo guardava, quasi sorpreso dall'istinto di sopravvivenza che quello manifestava inutilmente, e lo lasciò fare, divertito e per niente impressionato. Fu un gioco da ragazzi sfilargli il coltello dalle mani, quasi come prendere una caramella dalle mani di un bimbo di un anno. Fece partire un altro poderoso pugno che andò a segno sulla fronte di quel poveraccio che svenne immediatamente. Con calma Paul lo spogliò.
Si mise i vestiti e le scarpe che miracolosamente erano della sua misura. Non aspettò nemmeno che quello si risvegliasse. Vibrò un fendente che trapassò la carotide dello sconosciuto da parte a parte. Si spostò fulmineamente per non sporcarsi di sangue. Estrasse il coltello e lo pulì sulle carni del malcapitato che ebbe ancora un sussulto nervoso e poi morì.
"Zavorra", disse Paul. E si allontanò.
Questo ricordo era tutto quello che aveva di se stesso, della sua vita.
Stava ora attraversando una via molto movimentata e si stava chiedendo dove mai andassero tutti quanti, che cosa mai avessero da fare "loro", invece di stare a casa a sognare.
Per lui era diverso, lui doveva ripulire il mondo dalla zavorra ed era un compito maledettamente impegnativo e, sotto certi aspetti, pericoloso.
Camminando attirava su di sé gli sguardi fugaci della gente. Gli uomini lo guardavano con la coda dell'occhio e al suo passaggio si spostavano. Alcune donne, nonostante fossero in compagnia, lo guardavano ostentatamente. Qualcuna azzardava sorrisi incerti rivolti al suo indirizzo, al suo sguardo glaciale.

 

CONTINUA...

 

 
     

 

 

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