"Ci limitiamo a raccontare storie effettivamente accadute. Storie dove la razionalità umana ha già voluto trovare una spiegazione plausibile e logica, anche nei casi dove nulla in effetti ha mai avuto a che fare con
la plausibilità e con la logica..."

 
 


Solo in certe sere, quando tutto sembra magistralmente messo in scena, quando ogni elemento si colloca misteriosamente e senza apparente motivo nella giusta posizione, qui al Pub Story's, si raccontano delle storie.
Niente deve essere fuori posto, niente va mai lasciato al caso. È una regola e tutti noi la rispettiamo da anni. Non importa che sia estate o inverno, l'importante è che l'atmosfera sia quella giusta. Tutti noi sappiamo quando è il momento. Non saprei dirvi con esattezza quali siano i canoni obbligati perché quest'atmosfera ci sfiori come una carezza, a volte come un pugno. In realtà non esistono particolari regole nel nostro modo di fare; ogni volta lo sentiamo dentro, ci accomodiamo ai posti di solito preferiti. Ordiniamo da bere, qualcuno telefona a casa per dire che ritarderà. Insomma dovreste venire qualche sera per rendervi conto di persona dell'elettricità che gravita tra noi in quelle particolari serate, è inutile tentare di spiegarvelo.
Era comunque un bel pezzo che non riuscivo più a sentire i brividi dopo aver ascoltato un racconto al Pub Story's e se devo essere sincero, ne ero dispiaciuto.
Ed è per questo particolare motivo che ho deciso di raccontare a tutti voi che non potevate essere lì con me quella sera, la storia del "grande amore", come la chiamiamo noi qui.
A dire il vero non era la prima volta che la sentivo perché era già conosciuta da queste parti zona anche grazie allo scalpore giornalistico che allora fece. Naturalmente ai tempi i giornali si limitarono ad esporre i fatti, trascurando però di metterli in correlazione gli uni con gli altri. Ma noi del posto, che l'abbiamo vissuta direttamente, sappiamo che è una storia del tutto particolare e che si può raccontare solamente in un posto come il Pub Story's, per essere capita.
Non ricordo la data esatta del giorno in cui il Dottor Irsh ci intrattenne con il racconto, ma sono quasi certo che si trattasse di un giovedì. Gennaio stava per lasciarci ed il freddo in quei giorni era davvero memorabile. Nevicava quella sera, ed io avevo appena chiuso il mio studio. Mi stavo incamminando verso casa, era buio e la neve per strada era alta sì e no dieci centimetri, quando ad un tratto sentii la voglia (dico così per non dire la necessità) di dirigermi verso il Pub Story's. Guardai l'orologio, erano le sette e un quarto. Ma sì, mi dissi, mangerò qualcosa e poi andrò a casa.
Inutile prendere l'automobile perché avrei fatto prima a piedi, vista la difficoltà di circolazione. Era piacevole camminare sentendo la neve fresca sotto i piedi e nonostante la temperatura polare ero sicuro che una passeggiata a piedi mi avrebbe fatto bene. E così fu. Avevo appena imboccato la stretta via, dove per motivi di spazio nessuna auto può mai parcheggiare, e vidi riflessa sullo strato di neve poco calpestato, la rosea luce dell'insegna; la scritta "Pub Story's" si leggeva quasi chiaramente e senza particolari sforzi di fantasia visiva.
Sembrava di entrare in un'altra dimensione, in un'altra città. Non mi sembrava, in quel momento, di essere realmente nella zona ovest di Londra; la nostra cara e vecchia Londra ormai troppo impregnata dal consumismo e dall'indifferenza. Al pensiero di entrare in quel locale sentii una sensazione di calore, quasi di felicità,
Aprii la pesante ma minuta porta di legno e fui subito invaso da un tepore che mi sfiorò magnanimamente le guance gelide. Entrai e battei i piedi scuotendo la neve dal cappotto che cadde tutta ai miei piedi. C'erano già quasi tutti, non ero stato il solo a sentire il desiderio di essere lì, quella sera. La sapiente luce disposta e irradiata nell'ampio locale, rischiarava appena i nostri volti più o meno paonazzi per la reazione dal gelo al caldo.
I comodi e alti sgabelli posti davanti al bancone di mogano e marmo, erano quasi tutti occupati. Sedetti su una poltroncina e ordinai da bere. Salutai i presenti, molto cordialmente, ed in cambio ebbi sorrisi da tutti.
A prima vista può sembrare un luogo tetro, opprimente, ma basta poco a convincersi del contrario. Le poltroncine, per esempio, sono tutte una vicina all'altra, con in mezzo dei piccoli tavolini in legno ricoperti da tovagliette sempre stracolme di contenitori in vetro pieni di arachidi e lupini. Quando è inverno, bastano il grande camino e i neon rosa posti a 50 centimetri dal bancone, per ovattare tutto l'ambiente di una luce calda e rassicurante.
Ecco, era una di quelle sere che vi dicevo. Tutto si era andato ad amalgamare da solo. Persino noi, senza darci appuntamento, eravamo lì, ed aspettavamo soltanto il "diapason" per poterci accordare tutti quanti sulla stessa lunghezza d'onda.
Continuava a nevicare, e ci piaceva saperlo.
Il bisbiglio quasi religioso fluttuava nel locale con la stessa discrezione della caduta dei fiocchi di neve sulla strada e sulla porta del pub. L'aperitivo servitomi, frutto dei miscugli segreti di Al, cominciava a predispormi, distendendo i miei nervi, a quella magnifica sensazione che si prova in quelle sere speciali, come lo era quella sera in particolare. Accavallai le gambe e accesi la pipa, cominciando a dialogare con un caro amico, il notaio Florens (che molti di voi conosceranno) del più e del meno. Inutile fra noi ignorare le cose, d'accordo, ma non c'era nemmeno bisogno di rimarcarle, in quanto l'atmosfera era quanto mai palpabile nei nostri animi in attesa.
La piccola porta continuava ad aprirsi ed a richiudersi, altri amici avevano sentito il richiamo e verso le nove eravamo veramente al completo. Al decise di servire il risotto con tartufi arrivati freschissimi dalle langhe italiane, in terrine dal bordo molto alto.
Innaffiamo lo squisito e delicato sapore di quella portata con del vino bianco soave, leggerissimo. Ah, come è bello potersi gustare una serata così, nessuna ricchezza al mondo potrebbe mai eguagliare quella vellutata sensazione di benessere che si impadroniva lentamente di noi. Il maestro O'Nill stava lusingando i nostri desideri più intimi con una magistrale sonata in la minore di Beethoven. La musica si sollevava appena dalla gran coda dell'imponente pianoforte, situato su un sopralzo apposta eretto, e dopo averci appena sorvolato si insinuava leggiadra, quasi furtiva, nei nostri timpani ansiosi e pretenziosi.
Fu in quel momento che il dottor Irsh disse: "Ho una storia da raccontarvi".


 

CONTINUA...

 

 

 

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