"Immaginò quel farfallino nero diventare un cappio
ben ingrassato e con tanto di nodo scorsoio. Sentì nella mente la frizione del laccio esercitare precisa sulla pelle del giovane. Magnificò l'immagine di una mannaia affilata, materializzatasi dal nulla, e come brandita
da forze misteriose, abbattersi sibilante e senza pietà
su quella testa di capelli impomatati rozzamente , squarciandola in due metà esatte, fino a scoprire
l'osso della carotide..."

 

 
  Marty non ricordava a cosa servisse quella chiave. Né tanto meno ricordava di averla mai posseduta. Era strana per via della forma a mezzaluna dell'impugnatura ed era luccicante. Al diavolo, pensò mentre la esaminava da vicino. Però il cervello andava alla ricerca di un ricordo legato a quella chiave. Niente. Era molto strano per lui non ricordare qualcosa. Eppure quella chiave era lì, tra le sue dita, e quasi quasi - ma poi si vergognò di averlo solo pensato - trasmetteva alla pelle dei piccolissimi impulsi. La rimise in tasca e si incamminò verso casa.
Al diavolo anche lui, pensò, ma chi si crede di essere?
E come si è potuto permettere di insinuare che l'avessi fatto apposta? Andiamo, anche volendo non avrei mai potuto farlo. Un oggetto così di valore, così unico. È ovvio che è stato un incidente. Ma lui no, ha avuto il coraggio di insinuare mentre mi guardava con quegli occhi iniettati d'odio. Oh… se insinuavano quegli occhi.
Marty si era sentito trapassare da quell'odio. Gli era passato attraverso le ossa e gli aveva sfiorato la pelle quando era uscito.
"Ma sei pazzo Marty? Hai visto quello che hai fatto e sai quanto ti costerà?" Aveva sibilato il vecchio. Marty aveva soltanto balbettato qualcosa del tipo: “Non l'ho fatto apposta, mi scusi...”.
Il suo principale aveva raccolto delicatamente i resti dell'anfora, quasi per risparmiarli da altro scempio. Marty l'aveva aiutato restando in silenzio, ammiccando con gli occhi ad ogni invettiva del suo datore di lavoro.
Non si erano più parlati fino a sera. Quando Marty fece per uscire il vecchio l'afferrò per un braccio e lui trasalì. Erano ormai più di sei anni che lavorava per quell'antiquario e non si erano mai sfiorati, tranne le poche volte che si erano stretti la mano, a Natale e prima delle ferie.
Quel contatto lo raggelò. Sentì le dita del vecchio penetragli attraverso la lana del cappotto e ne immaginò le falangi in articolazione, come un braccio robotizzato che si sarebbe fermato soltanto dopo avergli spappolato ossa e carne. Marty era avvilito e dispiaciuto per la rottura di quella meravigliosa e antichissima anfora. Non perché dovesse renderne conto economico, ma perché quell'anfora gli piaceva davvero. Più volte era andato ad accarezzarla per sentire la levigatezza delle pitture. Non gli era neanche sembrato di averla urtata. Ormai sapeva bene come muoversi in quel piccolo negozio. Aveva sentito un fruscìo ed il secco rumore dell'impatto con il pavimento si era amplificato di almeno cento volte nel suo cervello.
Ora girò la testa e incontrò quegli occhi, ne vide riflesso l'orrore autentico. Avrebbe voluto scusarsi di nuovo ma si sentiva a disagio per via del braccio ancora artigliato dalla mano ossuta del vecchio. Non disse nulla, fu l'altro a parlare. Veramente sibilò attraverso una fessura che ricordava a Marty una lama. "Sei licenziato!", furono le uniche parole che disse e poi lasciò la presa, ritirandosi nel retrobottega. Marty lo guardò scomparire per l'ultima volta dietro la solida porta di quercia e senza aggiungere verbo se ne andò.
Al diavolo, tutto e tutti. Ma si sentiva stanco, molto stanco. Non appena arrivato a casa si buttò sul letto senza neanche togliersi le scarpe e la giacca. La stanza era immersa nel buio. Fu la prima notte della sua vita in cui fece un incubo.
Il mattino dopo venne svegliato dal telefono. Erano le undici passate da qualche minuto ed una voce di uomo sconosciuta gli chiese: "È lei il signor Jeymi?". Marty, ancora in semi-incoscienza, rispose di sì. La voce si qualificò come quella di un agente di polizia e lo invitava a recarsi immediatamente in negozio, perché era successa una disgrazia. Marty riappese la cornetta e restò qualche minuto tenendosi la testa tra le mani e cercando di riordinare le idee. Si guardò le gambe e si stupì di essere ancora vestito. Già, ricordò, ieri ero troppo stanco e mi sono addormentato come un sasso. Ieri era per lui, solo un giorno da dimenticare. Una disgrazia! Si alzò dal letto e si guardò allo specchio. Una brutta cera, barba lunga e due segni sotto gli occhi che sembravano due lividi. Si lavò la faccia in fretta e si diresse agitato verso il negozio del vecchio che soltanto il giorno prima, senza tanti complimenti, l'aveva licenziato in tronco.
Brutti presentimenti, come le occhiaie che si immaginava di avere stampate ancora sotto gli occhi, evidenti come una macchia di caffè su un vestito bianco.
Ridicolo, vero Marty?

CONTINUA...



 

 
 

 

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