"la morte gli aveva dato appuntamento in quell'ospedale, e l'unica cosa in cui l'uomo sperava, era che lei se ne fosse dimenticata..."

 
  L'uomo si avvicinò alla finestra spalancata nel mezzano, esattamente al centro delle due rampe di scale. Fissò il buio e l'infinito. Le luci della città brillavano nella notte come piccole stelle. Rimirò i contorni di quel paesaggio metropolitano, stranamente silenzioso, e cercò di fissare quell'immagine nella memoria. Ne esplorava ogni millimetro e ne assaporava la maestosità. Se avesse avuto con sé la macchina fotografica avrebbe fatto una fotografia meravigliosa. Sicuramente sarebbe passata più di un'ora prima di fare lo scatto definitivo. Avrebbe fatto calcoli di profondità di campo e chissà quante inquadrature avrebbe provato prima di trovare quella giusta. Sicuramente si sarebbe acceso una sigaretta prima di premere lo scatto flessibile, e avrebbe trattenuto il fiato durante il tempo di posa, fino al ritorno dello specchio della sua reflex.
Ma quella notte non era lì per fotografare, la morte gli aveva dato un appuntamento in quell'ospedale e l'unica cosa nella quale l'uomo sperava era che lei se ne fosse dimenticata. Il calmante somministratogli al pronto soccorso iniziava a fare effetto. Aveva i gomiti appoggiati sul davanzale della piccola finestra e teneva il volto con i palmi delle mani. Era una limpida e bellissima notte d'autunno. La luna era piena e sembrava più grossa del solito. Più grossa e potente, quasi emanasse un mistico alone che sembrava spandersi come una cometa in avvicinamento. Chiudeva gli occhi e poi li riapriva. L'alone era scomparso. Dopo qualche minuto sarebbe ritornato e l'uomo avrebbe richiuso gli occhi, fino a farlo scomparire di nuovo.
Andava avanti così ormai da parecchie ore. Aveva già fatto le telefonate di rito. Aveva scrupolosamente avvertito tutti i parenti, con tono calmo e pacato, cercando di non allarmare troppo i suoi interlocutori. Non disse a nessuno del malore che gli aveva attanagliato il petto e che lo aveva scaraventato a terra senza tanti complimenti.
Lo avevano portato al pronto soccorso e gli avevano iniettato un liquido rosa nel braccio. Ricordava poco, ma subito dopo l'iniezione si era sentito meglio, tanto da tornare al terzo piano dove sua moglie era stata ricoverata d'urgenza il giorno prima.
L'uomo accese una sigaretta e aspirò una lunga boccata. Sentiva il formicolio alle braccia e alle gambe, ma non gli importava più assolutamente nulla. Tornò con la memoria alla sera prima. Lo sguardo di sua moglie era spento, triste, e lei non sapeva dare una spiegazione plausibile alla sensazione di vertigine che l'aveva accompagnata per tutto il giorno. Quando lui rincasò e la vide, pensò che si fosse stancata troppo nelle faccende domestiche e si offrì di preparare la cena. Pasteggiarono con due toast.
Sua moglie, subito dopo, andò a riposarsi. Lui sparecchiò e riordinò la cucina. In cuor suo stava già montando un senso di disagio e preoccupazione, ma lo scacciò con prepotenza riordinando mentalmente i punti salienti della conferenza che avrebbe dovuto tenere l'indomani, ed alla quale stava lavorando da più di due mesi. Aprì la porta della camera da letto e vide sua moglie che dormiva. Si avvicinò e gli si gelò il sangue nelle vene quando si accorse che non respirava più. Le si gettò sopra e la scosse schiaffeggiandola sul viso. Era pallida e fredda. La donna rantolò e si rianimò tra le sue braccia, mentre lui le stava praticando la respirazione bocca a bocca. Tossì portandosi convulsamente le mani alla gola. L'uomo la portò ad un pronto soccorso. Da lì venne subito ricoverata per un intervento alle coronarie durato tre ore e mezzo.
Il chirurgo che l'operò disse che l'operazione era riuscita ma che non c'era alcun segno di ripresa fisica. In poche parole era entrata in coma. Il medico non aveva parlato di irreversibilità, ma la prognosi era comunque riservata. "Bisogna solo sperare", disse il dottore. L'uomo in quel momento cadde, anzi, investì con il peso del corpo il chirurgo, e tutti e due rovinarono a terra. L'uomo venne portato al pronto soccorso dove gli iniettarono del Tetrix, un potente calmante vasodilatatorio, ed in quattro e quattro otto si riebbe.
Ora era lì, incollato da chissà quante ore a quella finestra. La notte era ancora fredda. Non riusciva ancora a credere di trovarsi in quel posto e che fosse successo quello che era successo. Una sorta di incubo raggelante, vissuto veramente. Vedeva amici e parenti e poi chiedeva di essere lasciato solo, davanti alla finestra. Pensava alla moglie, alle cose belle vissute insieme. Sarebbe rimasto ad aspettare il risveglio della moglie e, se per caso non si fosse svegliata in un lasso di tempo ragionevole per la sua integrità mentale, sarebbe andato a casa e si sarebbe sparato con la sua Walther P38 direttamente al cuore senza nessuna esitazione, senza il minimo ripensamento.
La luna pulsava e irradiava i tetti delle case. L'uomo continuava a guardarla nelle sue pulsazioni regolari.



 

CONTINUA...


 

 
     

 

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