"Era immobile, indossava un impermeabile nero di gomma e aveva le braccia a penzoloni. Era alto e aveva le spalle larghe. Indossava stivali anch'essi neri. Il cappuccio gli ricopriva la fronte e a quella distanza Daniel ebbe l'impressione che dentro l'impermeabile non ci fosse nessuno"  
 

 

La strada non era asfaltata e ad ogni buca Daniel rimbalzava sul sedile della Ford Cosworth, imprecando.
Dik lo fissava dalla grata che divideva l'ampio portabagagli dal sedile posteriore, ed era contento perché vedeva i prati e gli alberi. Scodinzolava e uggiolava impaziente. Erano le quattro del pomeriggio e la primavera era iniziata da due giorni. Il sole era tiepido. La temperatura mite permetteva a Daniel di guidare con il finestrino abbassato e il braccio fuori dall' abitacolo.
"E smettila di agitarti... su buono!", disse al cane che continuava a spostarsi da un lato all'altro zampettando sullo stuoino di linoleum.
Il cane zittì e si fermò un istante, poi riprese nel frenetico movimento abbaiando, quasi volesse dire al padrone che quello era il posto giusto per fermarsi. Daniel guardò nel retrovisore e vide il grosso naso di Dik, umido e gocciolante, incastrato in una feritoia della grata divisoria.
"Non mi fai pena. Vedrai che bella sorpresa ti farò...", disse sempre guardando nello specchietto. La macchina acquistò velocità, ora la strada era ricoperta da fine e piccolissima ghiaia e non c'erano più buche nel terreno.
Sommessamente Daniel cominciò a parlare, forse al cane, forse a se stesso: "Mi dispiace amico, davvero, ma non abbiamo scelta. Dai troppo da fare e anche i vicini continuano a lamentarsi. Non se ne può più. Io mi sono stufato di sentire Dorothy quando faccio tardi la sera e ti devo portare fuori. Ieri siamo andati avanti due ore. Ci rimarrà molto male Lucy, ma ha solo sei anni, gli passerà in fretta, tu devi arrangiarti... insomma sei solo un cane ed è già più di due anni che ti sopportiamo. D'inverno sporchi i pavimenti quando piove, abbai se viene qualcuno a trovarci, ci hai distrutto la casa, quando andiamo via è sempre un problema... Insomma sono solo rogne tenere gli animali. Fossimo in campagna sarebbe diverso...” Guardò nel retrovisore e vide gli occhi del cane piantati nei suoi. Dik aveva smesso di agitarsi ed era seduto sulle zampe posteriori con la bocca aperta e la lingua penzolante in fuori. Come se fosse stato ad ascoltarlo, quasi come se avesse capito. Certo era un cane molto intelligente, e bravo, nonostante fosse soltanto un animale.
Per Daniel poteva anche rimanere a casa fino alla fine dei suoi giorni, ma non c'era più verso di far ragionare la moglie.
"O lui o io, deciditi Daniel. Se entro domani sera non ti liberi di quell'ammasso di pulci, faccio le valigie e me ne vado. Non sto scherzando... Quando l'hai portato a casa avevi detto: giusto il tempo di farlo guarire... Sono passati due anni e non ne posso più”.
Quello era stato l'ultimatum di Dorothy la sera prima.
Daniel aveva cercato di farla ragionare dicendole che non poteva sbarazzarsene così, ma non c'era stato niente da fare. Quella mattina aveva visto le valigie nell'anticamera e quando lei si fissava in testa qualcosa, era più testarda di un mulo.
Nelle prime ore del pomeriggio erano pronte anche le valigie di Lucy, e Dorothy le aveva sistemate accanto alle sue, nel bagagliaio della sua Honda Civic, parcheggiata nel vialetto.
"Dor, mi sembra che tu stia esagerando", aveva detto Daniel cingendola alla vita.
"Ricordati, entro sera o non mi vedi più", aveva risposto seccata e scostandosi dal marito.
Daniel non aveva visto altra soluzione e controvoglia fischiò a Dik. Il cane arrivò scodinzolando dalla cucina e con la sua enorme mole, dopo essere scivolato a quattro zampe sulla cera, fece cadere la piantana in legno.
Daniel cercò di afferrarla ma quella cadde a terra sbeccandosi da due lati.
Dik abbassò le orecchie e si appiattì al pavimento in attesa di una immeritata punizione.
Daniel rimise la piantana a posto (nascondendo i lati smussati nella caduta) e afferrò nervosamente il collare del cane facendolo alzare da terra e trascinandolo fuori. Dik aveva la coda in mezzo alle gambe e guardava il padrone con occhi languidi e grandi, pieni di dispiacere.
Daniel gli diede un buffetto sulla testa e Dik prese a scodinzolare e a ondeggiare di gioia.
Quando Daniel lo trovò Dik era poco più di un cucciolo. Era stato probabilmente investito da una macchina ed era immobile e ferito sul ciglio della strada per Fulton. Daniel, spinto da commiserazione verso quell'innocente vittima impaurita (guaiva come un ossesso), lo raccolse e lo portò al centro veterinario di Fulton. Lo ingessarono e decise di portarlo a casa.
Lucy, che aveva solo quattro anni, se ne innamorò immediatamente e convinse la madre a tenerlo per un po', almeno fino a quando non si sarebbe tolta l'ingessatura.
Dorothy accettò, seppur controvoglia, e da allora cominciarono i guai in casa Cross.
Ora i fatti stavano volgendo all'epilogo e Daniel, innervosito, stava compiendo l'atto più ignobile della sua vita. Fermò l'auto. Scese e andò ad aprire il portellone posteriore.
Dik schizzò fuori come un lampo e cominciò a ballargli intorno tutto felice. Daniel si guardò in giro. Non c'era anima viva, soltanto prati invitanti ai lati della larga strada. Raccolse un pezzo di legno e lo lanciò lontano. Dik saettò dietro al bastone facendo guizzare i muscoli possenti de zampe. Daniel corse e saltò in macchina. Mise in moto e alzando ghiaia e polvere dalle ruote anteriori partì velocemente. Aveva percorso sì e no duecento metri, quando guardò nel retrovisore e vide Dik che lo stava inseguendo, correndo follemente in mezzo alla polvere che si alzava dall'auto.
La lingua del cane sbatteva a destra e a sinistra. Stava abbaiando, come per chiamarlo, come per dire: "Hei, che bel gioco che stiamo facendo, ma vai più piano altrimenti mi perdi, hei per favore rallenta... C'è polvere qui dietro". Daniel schiacciò l'acceleratore ma la strada non gli permetteva di andare più veloce, quindi non riuscì a distanziare il cane ansimante che, caracollando e allo stremo delle forze, non accennava a fermarsi.
Daniel non ce la fece, era davvero troppo straziante in quella maniera. Fermò l'auto e Dik prese a saltare sulla portiera di guida, graffiandola. Lui uscì di volata. "Buono, dannazione, buono", gridò al cane alzando il braccio in segno di volerlo picchiare. Il cane si spostò e si sdraiò per terra, a riprendere fiato. Si girò su se stesso, impolverandosi, e si mise pancia e zampe all'aria emettendo suoni misti a felicità e mugolii di piacere. Daniel rimase con il braccio sospeso e lo guardò nello show che Dik stava facendo appositamente per lui. S'inginocchiò e lo accarezzò. Dovette subire una ventina di leccate prima di riuscire a spostarsi da quella posizione, poi lo fece salire sul sedile anteriore della vettura.
Non aveva ancora in mente niente di preciso. L'auto ripartì. Daniel guidava in silenzio e Dik, seduto come una persona sul sedile anteriore, scrutava la strada attento. Cominciò la strada asfaltata. Fra due o tre miglia si sarebbe immesso sulla provinciale per Traswoy e da lì avrebbe fatto inversione per ritornarsene a casa.
L'idea lo accarezzò appena, poi si insinuò nella mente, e diventò certezza.
Guardò velocemente a destra e a sinistra: prati e alberi. Non c'era anima viva. Stava filando a 90 miglia orarie. Dik fissava il vuoto.
Fu tutto in un attimo, Daniel non cercò il tempo per riflettere.

CONTINUA...

 


 
     

 

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